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Museo-degli-Arazzi-Marsala

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PARTNERS

Don Marco Renda

Fabio Ingrassia

Pasquale Pandolfo

Gaetano Edoardo Alagna

Sara Parrinello
Piero Gallo

Museo degli Arazzi

di Marsala

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Genere: Documentario  
Anno: 2017
Regia: Easy Vision

Durata: 14:58

Sponsor: Donnafugata

 

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  VERSIONE IN ITALIANO

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 ENGLISH VERSION

Gli arazzi di Marsala
 

Il Museo degli Arazzi di Marsala custodisce 8 Arazzi fiamminghi del XVI secolo che narrano episodi storici della guerra giudaico-romana, della quale ci danno notizia Tacito e Giuseppe Flavio. In particolare fanno riferimento a scene delle campagne militari di Vespasiano contro i Giudei. 

Nell’anno 66 dell’era Cristiana, era imperatore Nerone e la Giudea si ribellava ai governatori romani. Le prime azioni militari furono favorevoli ai ribelli. 

 

Le disfatte subite dall’esercito romano fecero temere che tutto l’Oriente potesse andare perduto. Per fermare la rivolta giudaica, Nerone designa Vespasiano governatore degli eserciti romani in Siria. Il figlio di Vespasiano, Tito, raduna e riorganizza le legioni romane in Siria per procedere contro i ribelli giudaici.

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Primo arazzo cm 262 per 348

L'assedio di Giotapata costituì il più importante evento delle campagne militari di Vespasiano contro i Giudei. Giuseppe Flavio, sacerdote, storico e difensore della città di Giotapada, esce dalla grotta dove si era rifugiato vestito da guerriero. Con la sua imponente statura sovrasta un tribuno e un soldato, il quale lo tiene con il braccio sinistro ed esulta con il destro alzato, per averlo scovato e tratto fuori dalla grotta. Ispirazione e forme michelangiolesche si colgono nelle dimensioni muscolose, nelle pose e negli atteggiamenti di molte figure. In lontananza, Vespasiano nella sua tenda, seduto e circondato dai suoi  guerrieri, attende Giuseppe Flavio, il quale ebbe salva la vita, ma fu condannato a portare la catena al piede; egli predice a Vespasiano che sia lui che il figlio Tito diventeranno imperatori di Roma. Sullo sfondo a sinistra si intravedono numerose sagome di soldati e al centro si ergono le cime delle montagne.

Secondo arazzo cm 395 per 348

Nei pressi di Tiberiade, un certo Gesù, figlio di Tobia, tende un’imboscata ad un gruppo di legati romani. La città di Tiberiade, accusata ingiustamente dell’assalto, implora la protezione del suo re Agrippa, raffigurato al centro con la corona in testa. Agrippa svela a Vespasiano il nome del responsabile dell’agguato. Vespasiano, davanti la tenda, con il braccio destro alzato in segno di collera, è circondato da guerrieri e notabili. Ai suoi piedi, gli abitanti di Tiberiade lo supplicano: in primo piano si notano due donne inginocchiate che hanno portato i bambini per impietosire Vespasiano incollerito. In secondo piano, a destra, soldati che combattono; sullo sfondo a sinistra è raffigurato Gesù, figlio di Tobia, e i suoi compagni che scappano col bottino strappato ai messi romani. Si coglie l’ispirazione a Raffaello, in particolare alle Stanze e alle Logge.

Terzo arazzo cm 320 per 348

Nell’anno 69, alcuni soldati dell’esercito romano si radunarono per acclamare Vespasiano imperatore. Vespasiano non vuole accettare, preferisce ai pericoli dell’Impero la sicurezza della vita privata. I soldati decidono di usare la forza, un soldato sta per sguainare la spada, un altro tenta di tirare un colpo di alabarda contro Vespasiano, ma viene afferrato al gomito da un notabile. Vespasiano allora accetta e siede su un trono improvvisato, eretto su tre gradini sotto una tettoia posizionata tra due alberi. Ai piedi del trono sono raffigurati un cagnolino, simbolo della fedeltà che i soldati gli hanno giurato, e una giovane vestale. Due vecchi notabili, che tengono in mano uno la spada e l’altro un globo, stanno per poggiare sul suo capo la corona imperiale. Si legge sul volto di Vespasiano la sua contrarietà, nell’allargare le braccia sembra che dica: “e sia come volete!” Chiara è l’ispirazione al manierismo michelangiolesco.

Quarto arazzo cm 320 per 348

La proclamazione di Vespasiano ad imperatore di Roma si diffuse velocemente per tutto l’Impero romano, suscitando ovunque esplosioni di giubilo, in quanto erano noti il suo valore e la sua saggezza. In questo arazzo, Vespasiano, ritratto con la corona in testa, è proclamato Imperatore di Roma. Un re siro, per dimostrargli sudditanza e obbedienza, gli invia un ambasciatore, che in ginocchio apre uno scrigno e offre all’imperatore corazze, anfore, oggetti preziosi e corone. La raffigurazione è certamente di ispirazione rinascimentale piuttosto che manieristica. Attorno a Vespasiano, sotto una bandiera, si notano soldati con lance e spade. In fondo, sulla destra, notiamo una fortezza presa d’assalto dai romani e difesa strenuamente dai giudei. Sfondi incantevoli incorniciano la scena.

Quinto arazzo cm 400 per 359

Vespasiano, dopo la proclamazione, ricorda che Giuseppe Flavio, al momento della cattura, gli aveva predetto che sarebbe diventato imperatore di Roma e decide per questo di ridargli la libertà. Vespasiano, seduto su un alto trono e circondato da guerrieri, ha davanti la figura gigantesca di Giuseppe Flavio. Un operaio con una tenaglia lo libera dalla catena al piede destro, un altro con la scure spacca il cerchio che gli serrava l’altro piede. Vespasiano ordina ad un soldato di prendere da un forziere una coppa piena di monete per offrirla a Giuseppe Flavio. In alto a destra alcuni anziani sembrano commentare l’atto magnanimo dell’imperatore. Sulla sinistra si coglie una seconda scena: Vespasiano a cavallo, seguito da soldati, viene bloccato da un vecchio che si inginocchia e gli offre una corona, alla sinistra una donna inchinata lo supplica.

Sesto arazzo cm 454 per 353

L’arazzo nella sua parte centrale rappresenta il combattimento tra il giudeo Gionata, e il romano Prisco. Il giudeo cerca di svincolarsi dalla stretta poderosa dell’avversario, gli sferra un colpo e tenta di mordergli la spalla. Attorno a loro imperversa una cruenta battaglia: soldati feriti, cavalli imbizzarriti, scudi, spade, lance spezzate. A terra grovigli di combattenti. In fondo, a destra, possiamo notare la scena di una battaglia navale: quattro imbarcazioni cariche di soldati sono in pieno combattimento. Si notano 40 figure di soldati, definite in tutti i particolari, nonostante le piccolissime dimensioni. Sullo sfondo, elemento ricorrente, una catena di monti.

Settimo arazzo cm 534 per 354

Tito, figlio dell’imperatore Vespasiano, comandante delle forze romane in Palestina, è seduto su un piedistallo all’ombra di un baldacchino, con accanto due donne e circondato dai suoi guerrieri. In ginocchio,  dinanzi a Tito, il giudeo Gesù di Nabut porge in dono due candelabri d’oro ed il libro per il rito sacro. Sono con lui: un levita che porta sulle spalle un fagotto con i paramenti sacri, il custode del tempio con due vasi e una donna con un cofanetto in mano. In secondo piano notiamo l’assedio dei romani all’ultima cerchia delle mura del tempio, difese strenuamente dai giudei. In alcuni tratti le mura cedute consentono il passaggio dei soldati romani. E’ da notare la straordinaria perizia dell’arazziere: cavalli e cavalieri sono piccoli ma definiti in tutti i particolari e le movenze.

Ottavo arazzo cm 253 per 354

Tito, vittorioso, offre un sacrificio a Javhè per propiziarselo dopo le tante rovine della guerra giudaica e la distruzione del tempio. Al centro si nota l’altare, su cui ardono la legna e le erbe odorifere, dal fuoco si sprigiona una leggera nuvoletta. Alla destra dell’altare si trova Tito, inginocchiato, con il capo alzato  guarda il cielo, in atteggiamento di preghiera con la mano destra protesa verso l’alto. A sinistra dell’altare si trova il sacerdote giudeo con la mitra sulla testa e i paramenti sacri. Sull’altare si nota il libro sacro, aperto, su cui spicca una nitida scritta ebraica. Davanti l’altare, inginocchiata, una giovane donna che tiene con la sinistra una coppa d’oro e con la destra ne toglie il coperchio. A terra si notano l’elmo di Tito, un’anfora, un lavabo, un rotolo e tutto ciò che occorre per il rito sacro. Sullo sfondo la campagna e i monti.

Struttura dell'arazzo

La struttura dell'arazzo  (Can. Calogero Cusumano)


L’arazzo è un tessuto di fili di lana e seta ( alle volte di fili di argento e di oro) lavorato a mano con telaio di alto e di basso liccio, riproducente figure, destinato a coprire le pareti di un salone o di una chiesa allo scopo di tappezzarle e abbellirle. L’arazzo quindi non è il nostro “tessuto” comune, giacché questo è frutto di un lavoro di macchina, mentre l’arazzo è lavorato esclusivamente a mano. Di più l’arazzo non è nemmeno un ricamo giacché in esso chi lo lavora tante volte svolge il suo disegno a mano sul canevaccio o sulla stoffa di già preparati, mentre l’arazziere deve sempre creare tutto da sè in un medesimo tempo: e tela di fondo e disegno e figure.

Per una maggiore comprensione del lavoro dell’arazziere e conseguentemente della importanza dell’arazzo, aggiungo che l’arazziere prima di iniziare il suo lavoro deve avere l’arazzo, che vuole costruire, riprodotto su di un cartone che non deve mai perdere di vista. La pittura  di questi cartoni viene affidata ad artisti di grido; così abbiamo avuto arazzi su cartoni di artisti sommi quali Michelangelo, Raffaello, Leonardo, Mantegna, Giulio Romano, Tommaso Vincidor, il Bronzino, il Veronese, il Pordenone etc… Oltre il così detto cartone di guida, l’arazziere deve avere i suoi brocci o fusi di legno dove tiene arrotolate le lane e le sete di vario colore, che adopererà nel suo lavoro, secondo va richiedendo il cartone che vuole riprodurre. Sono altri suoi attrezzi l’ago, il mozzafili, le forbici e il pettine.

Preparati questi attrezzi, l’arazziere impianta il suo telaio di dimensioni un pò più grandi dell’arazzo che vuole costruire: dispone due grossi curli di legno uno in alto e l’altro in basso, attraverso i quali fa scendere tanti fili perpendicolari l’uno vicino all’altro formanti il così detto ordito. E’ da notare che l’arazziere lavora tutto il suo arazzo stando dietro questi fili. Egli inizia il lavoro dalla parte sinistra, in basso, passando attraverso i fili dell’ordito or l’uno or l’altro dei suoi fusi ove sono le lane e le sete colorate, formanti la sua tavolozza, con le quali deve riprodurre il cartone affidatogli, in tutti i suoi particolari! Non è necessario che egli porti a compimento i suoi fili fino all’estremità di destra, proseguendo sempre il suo lavoro orizzontalmente; se gli piace, egli può troncare, per esempio a metà arazzo il passaggio dei suoi fusi con la lana per riprendere di nuovo a sinistra il lavoro con nuovi fili, di modo che in un lato il lavoro diviene più avanzato mentre al lato opposto è più ritardato. Ogni tanto l’arazziere sente il bisogno di assicurarsi se il suo lavoro proceda bene; ora stando egli a lavorare l’arazzo, come già si è detto, dalla parte  posteriore di esso, dovrebbe lasciare i suoi fusi e passare dall’altra parte dell’ordito per vedere l’arazzo di fronte, cosa che gli apporta perdita di tempo. E’ per evitare questo l’arazziere dispone nella parete di fronte al suo arazzo un grande specchio dove fa riflettere il suo lavoro, così egli, quando ne senta il bisogno, allarga i fili dell’ordito che ha davanti e guarda nello specchio dove vede il lavoro che ha sviluppato e si assicura dell’esattezza di esso o della necessità di correggerlo.

Come ben si comprende, quello dell’arazziere è un lavoro delicato e lento così che un arazziere abile può arrivare a compiere in un giorno appena 4 o 5 centimetri quadrati di arazzo! Si pensi quando tempo si richieda per portare a compimento un arazzo di vaste dimensioni…. Ad evitare questa lungaggine di lavoro che per un solo arazzo verrebbe a sorpassare un anno, ad uno stesso telaio, quando le dimensioni dell’arazzo lo comportano, vengono a lavorare vari operai; così il lavoro, se pur è reso più complicato, può procedere almeno più velocemente. Circa il tempo in cui iniziò una tale lavorazione esiste tuttora grande controversia.

Alcuni asseriscono che la lavorazione dell’arazzo risalga ai tempi più remoti ed in quel telaio a cui Omero fa lavorare alcuni suoi personaggi quali Elena ed Andromaca, vogliono vedere un autentico telaio di basso liccio per arazzi. Come pure riconoscono  per arazzi propriamente detti quei tappeti figurati che Agamennone, nell’Oreste di Eschilo, ha quasi paura di calpestare. Altri insistono nell’affermare che in questi lavori di cui parlano le opere degli antichi, non dobbiamo vedere che dei tappeti e non degli arazzi, giacchè altra è l’orditura e la trama di un tappeto ad altra quella di un arazzo. Gli antichi secondo costoro, non conoscevano la vera orditura dell’arazzo. Lascio agli autentici e poco numerosi competenti definire tale oscura, sebbene importante controversia.

Laboratori di arazzi, a cominciare dal secolo XIV e poi nel secolo XV, ne troviamo un po' dappertutto. In Francia oltre quello antichissimo di Sammur di pertinenza dei Frati del convento di Saint Florent, si annoveravano quelli di Lione, Amiens, Tours, Avignone, Orleans, Beauvais, Aubusson, Parigi etc… Nelle Fiandre si contavano quelli di Valenciennes, Lilla, Gand, Bruges, Tournai, e, primi su tutti , quelli di Arras e di Bruxelles, perchè qui l’arte con gli arazzieri Pieter Van Aelest, Pieter e Willem Pannemaker e Frans Geubels. Anche in Inghilterra e in Olanda e in Danimarca troviamo laboratori di arazzi.

L’Italia, terra dove l’arte ha avuto sempre un culto speciale, non poteva trascurare questa foggia di lavorazione artistica, difatti ne sentì il fascino e in un primo tempo commissionò fuori i suoi arazzi, ma ben presto papi e principi fecero a gara a far venire arazzieri francesi e fiamminghi, perchè aprissero fa noi e loro laboratori. Siena nel 1438 ospitò il famoso arazziere fiammingo Rinaldo Boterman, poi è la volta di Ferrara, Brescia, Verona, Perugia, Modena, Mantova, Milano, Firenze, Roma, Torino, Napoli… tutte le corti, tutte le grandi città italiane vogliono vantare le loro arazzerie. E’ il periodo del vero trionfo incontrastato dall’arazzo! Esso raffigura dappertutto.

Nelle corti e nei grandi palazzi dei privati esso è ovunque: nei saloni, nei camerini, lungo i corridoi, sotto i portici; nelle chiese lo troviamo in ogni cappell, nelle spalliere del coro, arrotolato alle colonne, pendenti fra gli archi che formano le navate, portato financo nelle processioni. In quell’epoca anche nelle tende dei condottieri di armate troviamo l’arazzo; Carlo il Temerario nei campi di battaglia di Grauson ne dovette abbandonare dei numerosi e preziosi. Può dirsi che tutta l’Europa è presa da questa mania. Contro di essa alzava la voce Giovanni de Mussis a rimproverare i piacentini; mentre contro i Fiorentini  tuonava quella di fra Girolamo Savonarola, che dolorosamente constatava come le mura delle case fossero tutte coperte di arazzi e di tappeti e insino alle mule tutte ornate.

Avuto riguardo al soggetto rappresentato, gli arazzi si possono dividere in arazzi a composizione sacra, storica, mitologica, familiare e campestre. Gli arazzi a composizione sacra sono in maggiore quantità: tra essi sono celeberrimi quelli posseduti dalla Città del Vaticano e dal tesoro del Duomo di Milano. Fra gli arazzi a composizione storica mi piace rammentare quelli del Palazzo Reale di Madrid; mentre non posso passare sotto silenzio gli arazzi di David Teniers, che è rimasto capo scuola nel genere dell’arazzo campestre.

Bibliografia: Museo degli Arazzi di Marsala  - Ass. Reg. Beni culturali e ambientali e della pubblica istruzione - Soprintendenza per i beni artistici e storici della Sicilia Occidentale -finito stampare nel 1984


 

Arazzi: fregio e bordo  (Can. Calogero Cusumano)

Gli arazzi sono otto di numero. Sono intessuti di lane e sete colorate. Le dimensioni di essi variano: il più piccolo misura m.3,50 x 2,54 ed il più grande m. 5,34 x 3,54. Tutti e otto riproducono scene della guerra romano giudaica: sono dunque a composizione storica.

In ognuno di essi colpisce la grandiosità delle composizioni, la tecnica del disegno, la vivacità della scena; la grazia delle figure e del gusto diffuso anche nelle parti secondarie; la molteplicità dei personaggi di primo e di secondo piano; il movimento e la espressione di essi; la delicatezza e la fusione dei colori;la profondità e la bellezza del panorama. La tonalità del primo piano è franca, ogni dettaglio è ben curato; i particolari dei fondi e dei piani intermedi sono trattati con poca modellatura, ma con disegno preciso. Le sete e le lane adibite presentano questi colori: rosso assai dolce; verde delicato; giallo sfumato; blu cobalto; bruno e rosato per le carni.

Ogni arazzo ha il suo quadro centrale contornato da un fregio o bordo, largo cm.48, assai lavorato. Nel bordo del lato perpendicolare di sinistra troviamo in basso: Apollo giovane suonante la lira, attorniato da un cervo, un leone, una scimmia, un orso, ammansiti dalla sua musica; poi un intreccio di frutta e foglie; più in su una donna con due anfore nelle mani; poi di nuovo foglie e frutta, quindi un puttino arrampicantesi fra foglie e infine un vassoio carico di frutta fiancheggiato da due puttini. Il bordo di destra è perfettamente uguale al primo che abbiamo descritto, meno che la figura del giovane Apollo: in sua vece troviamo una figura di donna. I lati orizzontali presentano nel centro la scena di un sacrificio.

 

Nel mezzo è l’ara col fuoco divampante, a fianco di essa sono riprodotti: nel lato sinistro una giovane donna che presenta un capro, un ‘altra che offre un anfora, di poi due sacerdoti; nel lato destro è una donna inginocchiata che presenta un piatto pieno di frutta; dietro è un pastore che stringe con la sinistra un lungo bastone. Ai due lati di questa scena rappresentante il sacrificio, troviamo due vassoi di frutta contornati da una piccola cancellata, ricca di foglie. Questo bordo è perfettamente uguale in tutti gli otto arazzi, meno che in qualche piccola particolarità.

Bibliografia: Museo degli Arazzi di Marsala - Uno sguardo generale ai nostri arazzi di C. Cusumano

Museo degli arazzi Marsala

Note di restauro

Note di restauro  (V. Scuderi)

L’intera serie di arazzi si trovava nel 1963 mortificata e chiusa in “vecchie casse,... in condizioni di deperimento tali che (scriveva l’allora Soprintendente prof. Delogu) ove non si intervenisse subito per curarne il restauro occorrerebbe poi rassegnarsi a constatarne la distruzione…

Essi, infatti oltre a un generale abbassamento di tono, determinato da un secolare accumularsi e fissarsi della polvere, ed oltre a numerosissimi empirici restauri eseguiti sia con applicazione di punti e di rattoppo sia con riprese acquerello in special modo degli incarnati, rivelano anche e soprattutto la smagliatura e la caduta di larghe sezioni dell’ordito, l’imporrimento delle sete; lo sfibramento delle lane; lo sfilacciamento delle cimose; sicché se le immagini sono ancora leggibili, ciò si deve più alla tenuta per contrasto ed attrito dei frammenti del filato che alla reale sua continuità.”

A seguito di varie ricerche di laboratori specializzati e dei primi finanziamenti regionali, nel 1965 ne furono iniziati, per coppia, i restauri (ultimati poi nel 1979) presso il laboratorio di Enrico Faccioli a Firenze. In via generale (perché generale e per ciascuno degli arazzi ne era l’esigenza) queste sono state le operazioni e le fasi di restauro:

a)  rimozione delle fodere (non di rado rifatte) onde poter operare sull’arazzo vero e proprio;
b)  lavaggio in apposite vasche o con opportuni accorgimenti anche in posizione di sospensione;
c) rammendo saltuario con filato di lana e seta delle migliori qualità di uso specifico disponibili sul mercato internazionale;
d) consolidamento di tutte le giunture mediante filati speciali come sopra;
e) rifacimento, nuova tessitura a mano ed applicazione di tutte le cimose, esclusi i tratti che recano le marche originali, che sono stati riammagliati in tessuto a tratti ricostruiti;
f) applicazione di nuove fodere e strisci compensate sulla verticale e sull’orizzontale, nonché di nuove cordelle per l’ammagliatura ai sostegni.

Naturalmente non sono stati rimossi taluni inserti anche vistosi avvenuti nel tempo, come quello costituito da una intera striscia forse ottocentesca larga venti centimetri al centro del settimo arazzo (Vespasiano riceve i doni da Gesù di Nabut).

Bibliografia: Museo degli Arazzi di Marsala  - Nota di restauro  - V.Scuderi

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CREDITS

Don Giuseppe Ponte - Arciprete della Chiesa Madre di Marsala san Tommaso di Canterbury dal 2003 al 2018

Don Marco Renda - Arciprete della Chiesa Madre di Marsala san Tommaso di Canterbury e Presidente del Museo degli Arazzi

 

Carla Giustolisi - Vice Presidente del Museo degli Arazzi

 

Piero Agate - Custode del Museo degli Arazzi

 

Margherita Spanò - Coordinamento progetto esecutivo - Logos Engineering

 

Eliana Tumbarello - Coordinamento progetto web - Logos Engineering

 

Pasquale Pandolfo - Pask Videomaker

 

Francesco Gandolfo - Presidente Lions Club Marsala

  

Il progetto è stato realizzato in collaborazione con:

Lions Club Marsala

Museo degli Arazzi di Marsala

Amici del Museo degli Arazzi e del tesoro della Chiesa Madre di Marsala

Comune di Marsala

Pask Videomaker

 

Produzione:

Logos Engineering

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