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Chiese a Marsala

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Santa Maria della Grotta

Marsala

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Genere: Reel  
Anno: 2023
Regia: Easy Vision

​Durata: 0:43

 

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COMPLESSO MONUMENTALE

SANTA MARIA DELLA GROTTA


Città di Marsala

Benvenuto all’interno del Complesso Monumentale di Santa Maria della Grotta, sono la tua guida e ti accompagnerò passo dopo passo alla scoperta di questo luogo molto antico, ricco di storia e fascino.


Sei pronto? Seguimi, iniziamo!

 

INTRODUZIONE
La vasta area di Santa Maria della Grotta vanta una storia antichissima, millenaria e complessa, a partire dalla nascita della città punica di Lilibeo (inizi IV sec. a.C.). Entrando dal cancello principale, alla tua sinistra, avrai notato delle sepolture, soffermati li davanti.

 

SEPOLTURE PUNICO-ROMANE
Durante la prima fase della sua storia, in epoca punica e poi romana, fino al II sec. d.C., l’area faceva parte della vasta necropoli di Lilibeo, come documentano le numerose tombe ipogeiche a pozzo verticale (in un caso con camera funeraria), a fossa rettangolare o quadrangolare, utilizzate per inumazioni ed incinerazioni entro anfore, scavate nella roccia a varie profondità e nel pianoro che in seguito sarebbe diventato il sagrato superiore della Chiesa di Santa Maria della Grotta.

Adesso supera l’ ingresso e soffermati prima delle scale

 

SCALA MONUMENTALE
Tra la fine del II e il III sec. d.C., nella fase di espansione edilizia che coincise con la deduzione della colonia Helvia Augusta Lilybitanorum, l’area fu utilizzata come latomia, come attestano i tagli nella roccia riconducibili all’estrazione del tufo. 


Le latomie sono cave a cielo aperto per l’estrazione della calcarenite (tufo), furono sfruttate nella fase di massima espansione edilizia della città romana di Lilibeo (fine II - inizi III sec. d.C.) e riutilizzate come cimitero tra il III e il IV secolo da pagani, cristiani ed ebrei. Da fonti storiche e testimonianze archeologiche sappiamo infatti che le stesse aree cimiteriali venivano utilizzate da gruppi appartenenti a religioni diverse. Così doveva essere anche per l’area dove adesso ci troviamo. In periodo paleocristiano anche quest’area, infatti, fu destinata ad uso catacombale,  comportando  lo scavo di arcosolii e nicchie nelle pareti delle latomie abbandonate. Adesso percorri la monumentale scala davanti a te e soffermati davanti la Chiesa.

DAVANTI LA CHIESA
Dopo la conquista normanna, le cavità sotterranee ricavate dal taglio delle latomie e dei pozzi d’accesso ai più antichi ipogei punici, rese sacre dalla presenza delle sepolture cristiane della fase precedente, assunsero la funzione di cenobio per una comunità basiliana di rito greco. Risale infatti al 1097 il Diploma del conte Ruggero che istituiva a Marsala, dopo il periodo di dominazione islamica, la prima abbazia e la denominava “Santa Maria della Grotta” in quanto sotterranea. Alla sparuta comunità di monaci basiliani vennero affidati anche altri possedimenti e piccole chiese: in città, S. Giovanni Battista al Boeo, S. Pantaleone a Mozia e S. Croce; fuori città, S. Michele Arcangelo o S. Angelo al Rinazzo, presso il feudo Farchina, S. Venera e un ampio giardino in località Eraclia, l’odierna Rakalia.


Per segnalare la presenza dell’abbazia e sorvegliarne l’accesso venne costruita una torre, avrai potuto vedere i resti della torre appena prima di accedere all’area, ci ritorneremo in seguito.
Alla fine del XII secolo Santa Maria della Grotta, rimasta senza monaci per motivi ignoti, venne unificata con l’omonima abbazia palermitana insieme alla quale nel 1555 fu consegnata da Carlo V ai Gesuiti, nelle cui mani rimase fino allo scioglimento della Compagnia di Gesù in Sicilia nel 1860.
Sono poco note le vicende della chiesa tra la metà del Cinquecento e il Settecento, ma varie testimonianze pittoriche dimostrano che il complesso ipogeico continuò ad essere frequentato per l’uso liturgico anche in questo periodo.

 

È certo che la chiesa doveva trovarsi in stato di abbandono nel XVIII secolo
La fase edilizia e monumentale più rilevante della chiesa,  risale a quell’epoca , quando i padri gesuiti nel 1712 affidarono il progetto di rifacimento della più antica chiesa ipogea, rovinata per la forte umidità, all’architetto trapanese Giovan Biagio Amico. La copertura venne rialzata e coronata da una cupola rivestita da mattonelle verdi e scandita da costoloni in tufo, in tutto simile a quella del campanile del Carmine, mentre una leggiadra balaustra sormontava il recinto della facciata; inoltre l’accesso alla chiesa fu realizzato in modo scenografico con un’ampia scalinata a rampe spezzate costruita all’interno della latomia, proprio la scala che hai appena percorso e puoi ammirare adesso dal basso.


Passata al Demanio dello Stato nel 1866, la chiesa rimase aperta al culto fino al 1968, quando venne chiusa per i crolli provocati dal terremoto. Ente proprietario è attualmente il "Parco Archeologico di Lilibeo" Marsala.

Adesso possiamo accedere all’interno della Chiesa, fai attenzione ai gradini.

 

CHIESA 

Subito entrando puoi notare la pluristratificazione delle varie fasi dell’area, messe alla luce grazie agli scavi archeologici che hanno reso evidenti i resti delle sepolture di epoca punico-romana che trovi alla tua destra. 
La chiesa barocca, del XVI secolo, ricavata all’interno dell’antico complesso ipogeico, consiste in una grande aula a navata unica, interamente rivestita di stucco bianco e scandita da quattro archi/cappelle laterali (due per lato).  Doveva trattarsi di  una Chiesa piccola e bassa, ipogeica, di cui è rimasto evidente il pavimento; mentre il livello superiore e tutte le parti monumentali della Chiesa fanno riferimento al rifacimento del XVIII secolo per mano di Giovan Biagio Amico.

 

Un primo intervento di restauro venne effettuato sotto la volontà dell’arciprete Linares, però purtroppo mai portato a termine; un ulteriore importante restauro venne realizzato negli anni ‘90 dalla Soprintendenza ai BB. CC. di Trapani, questo  ha comportato il rifacimento delle volte e della cupola, il rifacimento della balaustra  e lo scavo della Chiesa con il rinvenimento delle tombe, lo scavo degli ingrottati e la comprensione delle fasi di utilizzo della Chiesa; a questo intervento di restauro degli anni 90 risale anche la messa in sicurezza di ciò che rimane del Campanile o torre di avvistamento; purtroppo, per vari motivi, neanche questo restauro fu portato a conclusione. Nel 2017, grazie a nuove operazioni della Soprintendenza è stato realizzato un intervento di emergenza per la recinzione e chiusura dell’area, con la realizzazione dei cancelli e ripulitura dell’interno della Chiesa.


Adesso facciamo un piccolo passo indietro nella storia;

 

INGROTTATI
Quando i monaci, insediatisi nel complesso delle grotte, sfruttarono il luogo così come si presentava, realizzando solo semplici opere di adattamento ai fini cultuali,  gli altari vennero decorati con affreschi che testimoniano la restaurazione del monachesimo greco, promossa dai re normanni, e i saldissimi legami con la cultura greco-bizantina.
A testimonianza dell’uso delle grotte come cenobio basiliano rimangono alcuni altari intagliati nella viva roccia e una serie di affreschi di soggetto sacro, databili tra il XII e il XVII secolo. Seppure il loro stato di conservazione sia pessimo, essi rivestono un significato assai importante in quanto testimoniano la restaurazione del monachesimo greco, promossa dai re normanni, e i saldissimi legami con la cultura greco- bizantina.
Durante gli interventi di restauro degli anni ‘90 gli ingrottati erano chiusi, furono trovati uno pieno di terra, mentre nell’altro furono smontati dei muretti recenti e  trovati degli arcosoli cristiani risalenti al V sec. d. C.


Con la fronte davanti l’altare, spostiamoci verso sinistra ed entriamo nell’ambiente dell’ ingrottato sud:

 

INGROTTATO SUD

Alla tua sinistra vedrai i resti dei gradini degli altari smontati negli anni ‘60 durante il primo restauro non portato a termine.
Il complesso di Santa Maria della Grotta conserva una serie numerosa di affreschi, appartenenti a momenti cronologici diversi, che attestano la continua frequentazione del sito utilizzato prima come necropoli e  poi, per lungo tempo, come luogo di culto, dall’età normanna fino all’epoca in cui venne abbandonata dai Gesuiti.
Nonostante la lacunosità derivante dalla notevole umidità, si rivelano come esempi di raffinata cultura.

 

Affresco 1
Subito a destra troviamo un affresco seicentesco, di stile barocco, raffigurante S. Marco Evangelista, riquadrato da una cornice in stucco al di sopra di un altare con paramento di finto marmo; l’altare riprende lo stile dei marmi mischi siciliani, siamo nel pieno periodo Gesuitico, con traccia dello stemma IESUS della Compagnia di Gesù. 


Affresco 2
Più avanti, sempre in questo ambiente, che costituisce una vera e propria cappella. girando a sinistra, come ti indicheranno i volontari, troviamo gli affreschi di età bizantina, i più antichi, riferibili alla cosiddetta arte arabo-normanna,  con le metafisiche figure della Vergine con Bambino e di San Giovanni.

 

Le immagini sono rappresentate in posizione frontale sullo sfondo blu scuro racchiuso da una cornice a doppia fascia rossa e giallo-ocra. La Vergine è seduta in trono, indossa un mantello rosso che le ricopre il capo circondato da un grande nimbo giallo. Il volto presenta lineamenti minuti e dolci. La Vergine stringe con entrambe le mani un medaglione nel quale si inscrive la figura del Bambino, abbigliato con una veste rossa e il capo circondato dal nimbo crocesignato.  Affiancano il capo della Vergine le lettere greche MI ed ETA (ME) a sinistra e la TETA a destra, abbreviazioni dell’espressione METER TEOI (Madre di Dio).


La figura di S. Giovanni, a destra della Vergine, è pure rappresentata in posizione frontale, stante, con il capo circondato da ampio nimbo giallo, indossa un mantello rosso  con una tunica gialla e solleva la mano destra in atto di benedizione. Il suo volto, incorniciato da una capigliatura bruna e ombreggiata da una barba corta,  è caratterizzato da fronte ampia, grandi occhi sormontati da sottili sopracciglia profilate di bianco, bocca piccola e lievemente socchiusa.


La figura di San Giovanni richiama, per lo schema, analoghe immagini esistenti nelle cripte di San Marziano a Siracusa e di San Biagio a San Vito dei Normanni in Puglia. Le immagini trovano punti di contatto per lo stile con affreschi di Matera e San Domenico Corone in Calabria, della seconda metà del XII secolo, impregnati anche essi di cultura  costantinopolitana.
Queste immagini sembrano inserirsi, quindi, nella sfera della cultura di corte, raffinata e squisitamente aulica, vicine alle imprese musive delle città siciliane e ai mosaici costantinopolitani. Analogie nell’uso di certi particolari, per mettere in risalto per esempio le capigliature realizzate con sottili linee brune, si ritrovano anche con i mosaici della Cappella Palatina di Palermo e il Duomo di Monreale.


I due affreschi si pongono accanto a quelli di Mazara, a testimonianza della produzione artistica di ambiente monastico di chiara impronta bizantina, opera di un abile e colto artista.

 

Arcosolii
Vediamo anche i resti di muri smontati riferibili al XIII secolo, erano i bancali dei frati basiliani; gli ingrottati erano, infatti, come abbiamo detto prima, il cenobio dei frati che qui pregavano e si sedevano; i bancali erano o ricavati nella roccia oppure costruiti; durante gli scavi degli anni ‘90 questi furono smontati e venne alla luce un grande arcosolio,  una sepoltura familiare, dove furono rinvenuti elementi di corredo databili al V secolo d. C.. 


Accanto a questi troviamo un arcosolio riutilizzato come piccolo altare con un affresco più recente, con la Madonna col Bambino e ai lati le anime del purgatorio; per l’inclinazione della testa della Madonna sembra riconducibile ad uno stile gotico. Allo stesso periodo, sempre in questo ambiente, si può intravedere per ultimo un affresco frammentario tardo-trecentesco con figura forse dell’arcangelo Gabriele a sinistra e la Vergine a destra,  sembra si tratti di un’Annunciazione.

 

Adesso usciamo da questo ambiente e dirigiamoci di fronte, verso l’ingrottato Nord, segui gli accompagnatori

 

Entra e soffermati davanti la parete subito a sinistra.


INGROTTATO NORD

Affresco 3-4
Qui puoi trovare due interessanti affreschi, il primo sulla sinistra, databile alle fine del XIII secolo, delimitato da una cornice, raffigura la Lapidazione di Santo Stefano; il Santo viene rappresentato con una veste rossa, si possono scorgere i lapidatori con i macigni sulla testa e la figura di Saulo che ordina la lapidazione.


A fianco a questo, a destra, il secondo affresco, bizantino, con le figure di un Santo monaco e della Vergine affiancata da due dedicanti, delimitata da una cornice a fasce policrome con un motivo a zig-zag sulla destra. Il Santo monaco è rappresentato stante, avvolto nella veste monastica di colore bruno, col cappuccio bianco all’interno, che gli ricopre il capo, circondato da un vistoso nimbo giallo-oro. Il volto, con lineamenti molto stilizzati, appare animato da grandi occhi neri. Alla sinistra del Santo,la Vergine, anch’essa frontale, stante, nimbata, solleva la mano con il palmo aperto; indossa una veste di colore giallo e un ampio mantello rosso che le ricopre il capo e dispone intorno al collo secondo la moda orientale. A destra della Vergine, ormai poco leggibili, delle lettere, riferibili  probabilmente all’iscrizione NOSTRA SIGNORA , a cui la Chiesa è intitolata. La Vergine è affiancata da due figure di due devoti oranti, un uomo a sinistra e una donna a destra, entrambi con corona sul capo, attributo che ha fatto ritenere che le due figure si possano identificare con i due personaggi dedicanti, Ruggero I e la consorte Adelasia, confortati dalla notizia che la Chiesa e il monastero vennero dedicati alla Madonna e affidati all’abate Bartolomeo per volontà di Ruggero I.


Affresco 5
Su una delle pareti dell’ambiente centrale, sempre verso sinistra, si leggono le tracce di un affresco con Teoria di Santi basiliani, variamente interpretati, secondo la Prof.ssa Lima si tratterebbe di:  a sinistra S. Giacomo, al centro S. Lucia e a destra S. Bartolomeo ;  rappresentati in posizione ieratica e con il capo circondato dall’aureola, all’interno di arcate. La figura centrale, abbigliata con una veste sontuosa, solleva la mano destra nel gesto dell’orante, mentre stringe con la sinistra una croce con doppio braccio trasversale. L’ovale perfetto è incorniciato da una calotta gialla decorata, con raffinati ricami e bende laterali ricadenti sulle spalle, e dai capelli, acconciati con fili di perle. Il personaggio è stato identificato con Santa Lucia, martire a Siracusa intorno al 304 durante le persecuzioni di Diocleziano. Il santo alla sua destra indossa un abito rosso e un mantello giallo ricamato con pietre preziose e solleva la mano destra in atto benedicente, mentre con la sinistra stringe un oggetto che è stato identificato come un coltello; da tale attributo si riconosce l’apostolo Bartolomeo che, secondo la tradizione agiografica, fu scorticato vivo con un coltello in India a causa della sua coraggiosa predicazione in quelle terre. La fascia inferiore dell’affresco arriva a 50 cm circa del bancale (il sedile dove si sedevano per pregare)


Anche questo affresco dei Santi, pur avendo perso l’originario splendore, costituisce una testimonianza della cultura pittorica bizantina di notevole livello qualitativo, databile tra il XII ed il XIII secolo. In particolare, questo affresco, trova stringenti analogie con affreschi rupestri dell’Italia meridionale e della Sicilia orientale e dunque documenta le strette relazioni che al tempo dovevano intercorrere tra le comunità religiose di rito greco. Riscontra dei punti di riferimento e dei confronti con l’arte bizantina rupestre del XIII secolo, anche per l’uso dell’area, in particolare in Sicilia, con la zona dell’antico Valdemone, di Siracusa e Ragusa, tutte zone tufacee, dove il banco della calcarenite è stato scavato come qui prima per ricavare i cimiteri cristiani con gli arcosoli e poi gli arcosoli sono stati riutilizzati nella fase del monachesimo di rito greco per gli ingrottati, dedicati non solo all’abitazione dei monaci ma anche per la devozione e frequentati quindi anche dai fedeli.


Affresco 6
Prevalgono in questi ambienti i Santi orientali che hanno a che fare con le Crociate; nella parete occidentale di questo ambiente centrale, possiamo scorgere, infatti,  oltre a raffigurazioni della Vergine, di tre santi,  la figura di un Santo cavaliere,  S. Demetrio a cavallo, nell’atto di uccidere un uomo; fiero, su un cavallo bianco, abbigliato con veste ricamata e un mantelli chiuso sul petto, stringe la lancia con la destra e le briglie con la sinistra; il capo del santo presenta un bell’ovale del volto dall’espressione dolce e malinconica; delimitato da una cornice a fasce e linee brune, l’affresco risulta mutilo dell’estremità destra per la costruzione di una sorta di iconostasi di epoca successiva, che doveva dividere in due l’ambiente.


Quest’immagine di S. Demetrio sembra rappresentare un unicum in Sicilia, anche se si registrano altre immagini di Santi cavalieri soprattutto in Sicilia orientale e soprattutto con immagini di Santi cavalieri della Chiese rupestri dell’Italia meridionale, collocabili tra il XIII e il XIV secolo ;  quindi, sulla base dei caratteri iconografici e stilistici questo affresco, insieme a quello della Lapidazione di Santo Stefano, attestano la frequentazione del sito in epoca successiva a quella normanna.

 

In questo ambiente si dovevano svolgere funzioni religiose e probabilmente anche le messe; verso destra trovate, infatti,  un altare vero e proprio, realizzato nel periodo in cui la Chiesa era già passata ai Gesuiti; qui nella cornice dell’altare vi è un richiamo ai marmi mischi di epoca barocca e al centro possiamo scorgere  la raffigurazione della Madonna della Grotta, la Madonna titolare del luogo; l’originale tavola lignea che risaliva alla fondazione della Chiesa del XII secolo è andata perduta, forse fu portata a Palermo in quello che poi fu il Collegio massimo dei Gesuiti.

 

Ti invito adesso a ritornare in Chiesa e uscire fermandoti prima della scala monumentale.

 

S. Maria della Grotta, così emblematica per la storia della città da essere raffigurata sullo stemma civico del 1577 che ancora oggi corona l’ingresso al Municipio, non si è salvata da un progressivo degrado, iniziato con i crolli causati dal terremoto del 1968. Si auspica un prossimo finanziamento per il restauro delle strutture architettoniche e degli affreschi che illustrano la storia di fede e di preghiera che si svolse tra le umide pareti delle grotte.

Adesso metti in pausa, percorri la scala e uscendo dall’area riavvia l’audio per ammirare i resti della Torre, trasformata in campanile a seguito della successiva costruzione della chiesa.

 

TORRE-CAMPANILE
Di forma parallelepipeda, decorata con arcate cieche a rincasso, venne edificata per segnalare e custodire l’accesso alle grotte, quasi certamente tra il XI e il XII secolo. La torre normanna forse rimasta incompiuta sembra da mettere in relazione con il diploma di Re Ruggero del 1097-98. 
La Torre, come punto focale del territorio, segnalava l’accesso al sotterraneo santuario, che si raggiungeva da Porta Mazara imboccando la via che era scandita dalla presenza di sette cappellette con i misteri delle sette festività della Vergine, realizzate forse sul finire del XVI secolo; si raggiungeva poi la torre dove ogni anno si svolgeva la festa della Rogazione in occasione della processione solenne della Vergine. La torre normanna, cessata la sua funzione di accesso alle grotte, fu trasformata in torre campanaria, forse nel XIX secolo ampliata per realizare un piccolo alloggio di custodia.

Il nostro itinerario alla scoperta di questo affascinante luogo termina qui. Mi auguro che la visita sia stata di tuo gradimento, ti abbia emozionato ed arricchito. ( facendoti scoprire una parte importante e poco conosciuta  della storia di Marsala).

A presto e al prossimo tesoro!

A cura dell’Associazione Nonovento


BIBLIOGRAFIA E. CARUSO, S. Maria della Grotta: un’abbazia basiliana della Sicilia occidentale, in M. G. Griffo (a cura di), Marsala, Marsala-Palermo 1997, pp. 161-171 R. GIGLIO, Lilibeo (Marsala). Area di S. Maria della Grotta e del complesso dei Niccolini: recenti rinvenimenti archeologici, in Terze Giornate Internazionali di Studi sull’area elima, Pisa-Gibellina 2000, pp. 655-680 P. TISSEYRE, Un’abbazia basiliana nel XIII secolo, Santa Maria della Grotta a Marsala: lo scavo e i materiali, in DI STEFANO C.A., CADEI A. (a cura di), Federico e la Sicilia dalla terra alla corona. Archeologia e architettura, Palermo 1995, pp. 247-254

 

 

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Francesco Gandolfo - Lions Club Marsala
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BIBLIOGRAFIA 

 

E. CARUSO, S. Maria della Grotta: un’abbazia basiliana della Sicilia occidentale, 

M. G. Griffo (a cura di), Marsala, Marsala-Palermo 1997, pp. 161-171 

R. GIGLIO, Lilibeo (Marsala). Area di S. Maria della Grotta e del complesso dei Niccolini: recenti rinvenimenti archeologici, in Terze Giornate Internazionali di Studi sull’area elima, Pisa-Gibellina 2000, pp. 655-680 

P. TISSEYRE, Un’abbazia basiliana nel XIII secolo, Santa Maria della Grotta a Marsala: lo scavo e i materiali, 

DI STEFANO C.A., CADEI A. (a cura di), Federico e la Sicilia dalla terra alla corona. Archeologia e architettura, Palermo 1995, pp. 247-254